Dal diaconato nuova linfa per la Chiesa Pontina.
Testo e foto di Sergio Andreatta (650)
Sergio Andreatta, Diakonia_p=9124
Alle 18 in punto il corteo dei diaconi e dei presbiteri, presieduto dal vescovo di Latina, sfila lentamente ma solennemente nel corridoio al centro della navata. Nessuno può dire se ci sia vanità, desiderio di esibizione o profanazione gratuita in questo. Il grande coro, amalgama di cinque più piccoli, avvia il suo inno d’ingresso e ora la cerimonia di ordinazione dei nuovi diaconi può avere inizio. Il clero procede lentamente fino al presbiterio sostando un po’ sui suoi passi, chiuso nei suoi paramenti, protetto dalle sue liturgie. Un diacono innalza sulle sue braccia sollevate il gran libro del Vangelo. Una cerimonia bellissima, per quanto rituale, ad effetto come quelle che in un 2013, dalle dimensioni e dagli orizzonti mille volte modificati, cangiati e cangianti, secolarizzati e relativizzati sui valori, sa organizzare ancora solo la chiesa. E il popolo dei fedeli, capace di commuoversi e di entusiasmarsi, che si è addensato sotto le tre moderne navate del S. Cuore, ne coglie e ne assapora adesso tutti gli effetti. Ma riti, miti e partecipazione ad un osservatore neutro possono anche sembrare solo dei tentativi per riempire la religione di un cielo che sta rimanendo ogni giorno più vuoto. (Leggi tutto) >
Ora un breve excursus storico sul diaconato. Le sue basi istitutive si rintracciano nel capitolo VI degli Atti degli Apostoli quando i discepoli, su mandato dei dodici Apostoli: «…Prescelsero Stefano, uomo ricolmo di fede e di Spirito Santo, e Filippo, Procuro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, proselito di Antiochia; e li presentarono agli Apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani» (6,5-6).
Inizialmente il compito dei primi sette diaconi era di presiedere all’organizzazione e alla cura delle opere caritative, ma ben presto lo spazio del loro ministero andò ad ampliarsi notevolmente. Nello stesso capitolo (6,8-15) e in quello successivo (7,1-60), Luca – autore degli Atti – ci presenta infatti Stefano, primo martire della Chiesa, intento alla predicazione della parola di Dio e nel capitolo VIII (8,5-40) Filippo «che annunziava la Buona Novella del Regno di Dio […] a tutte le città» (8,12.40) e «uomini e donne si facevano battezzare» (8,12) da lui. Anche nelle Lettere di S. Paolo i diaconi vengono citati diverse volte (1 Tm 3, 8-13; Fil 1,1…). In premessa all’istituzione del diaconato si rinviene storicamente un’accesa querelle tra i primi cristiani e un forte risentimento tra fazioni. Era sorto un grande problema nella comunità e dilagava il malcontento degli ellenisti verso gli ebrei giacché ritenevano che nella distribuzione quotidiana degli alimenti venissero favorite le ebree e un pò trascurate le vedove venute, come loro, dalla diàspora. Ma gli Apostoli, di fronte alle rimostranze, non ritennero giusto trascurare il ministero della parola e la preghiera per occuparsene direttamente e così ordinarono ai discepoli di individuare nella comunità sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affidare l’incarico del servizio delle mense.
I discepoli, dopo attenta ricerca, elessero così “Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselite di Antiochia”. I sette furono infine presentati agli apostoli che, dopo aver pregato, imposero loro le mani. Ai sette diaconi (servitori) fu quindi affidato il compito di organizzare il servizio della carità.
Si narra a questo punto di Stefano che tiene, con sapienza ispirata, il suo discorso di denuncia per non aver riconosciuto il Giusto (Gesù) del quale “voi ora siete divenuti traditori e uccisori, voi che riceveste la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”. Il primo diacono chiude il suo rovente discorso descrivendo agli ascoltatori, sempre più sbalorditi, la visione che in quel momento egli contemplava. “Ecco, io vedo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta in piedi alla destra di Dio”.
I membri del sinedrio, nel sentire queste parole, fremettero di ribellione in cuor loro e cominciarono a digrignare i denti contro di lui, nota Luca. Quella visione e quelle parole scandalose andavano ad intaccare il loro potere consolidato: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè». Ma tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo. Stefano, primo dei sette diaconi scelti tra gli ebrei ellenisti, si era fatto notare subito fra tutti per la sua forte tempra e per la sua inossidabile testimonianza. Egli faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo, continua a scrivere Luca. E nelle adunanze pubbliche nessuno poteva resistere alla sapienza e allo Spirito con cui parlava. Figura esemplare della prima comunità alla cui vicenda sono dedicati ben due capitoli degli Atti così che l’autorevole discorso di Stefano ai capi del popolo risulta essere il più lungo riportato. Egli narra la storia della liberazione del popolo di Israele. L’epilogo è che verrà lapidato, al termine di un processo sommario, dopo che i testimoni contro di lui avevano anche deposto, secondo l’usanza, il loro mantello ai piedi del giovane Saulo. Ancora mentre lo lapidavano Stefano aveva la forza di pregare con intensità: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Ma poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputare loro questo peccato!». Detto questo, spirò.
Con la lapidazione di Stefano inizia la lunga e gloriosa storia dei martiri, non solo di diaconi. Saulo-Paolo, che aveva assistito da ufficiale al suo martirio e lo aveva approvato sino a continuare poi ferocemente le persecuzioni contro i cristiani, rimase inconsapevolmente toccato nel cuore da quella sua vibrante preghiera. Il ministero diaconale, ormai istituito, andò acquistando grande importanza nella chiesa delle prime generazioni come testimoniano gli stessi padri apostolici e acquisendo via via contorni sempre più chiari. Tra le tante splendide ed esemplari figure si staglia quella del diacono Lorenzo, martire a Roma il 10 agosto 258. Intorno al V secolo, però, il diaconato considerato in se stesso, come ministero permanente non finalizzato al presbiterato, verrà meno in occidente, sostanzialmente per il maggior coinvolgimento dei presbiteri nell’attività pastorale, con l’affermarsi di una maggiore istituzionalizzazione e normalizzazione della vita ecclesiale e dei servizi di carità. E così il diaconato iniziò, paradossalmente, la sua decadenza finché nel Medio Evo restava nella Chiesa d’Occidente ormai più solo che come tappa d’accesso al sacerdozio, rimanendo inibito e quasi fossilizzato sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale. Non così nella Chiesa d’Oriente dove ha continuato fino ad oggi come ministero permanente con funzioni prevalentemente liturgiche. Con il Concilio Vaticano II si è avuto finalmente un risveglio per il ministero permanente del diaconato, ristabilito ” come un grado proprio e permanente della gerarchia ...”. Il testo della costituzione dogmatica Lumen Gentium, ancora al n. 29, subito dopo l’affermazione, precedente specifica: “… col consenso del romano pontefice questo diaconato potrà essere conferito ad uomini di più matura età anche viventi nel matrimonio, e cosi pure a giovani idonei, per i quali, però, deve rimanere ferma la legge dei celibato” (EV. 1/360). Tale ministero era, peraltro, rimasto come abbiamo già accennato nella Chiesa d’Oriente e nelle chiese uscite dalla Riforma. La decisione di ripristinare il diaconato permanente, presa ufficialmente dal Concilio Ecumenico Vaticano II (Lumen Gentium n. 29) veniva inseguito rinforzata dalla Lettera apostolica ” Sacrum diaconatus ordinem” del 18 giugno 1967 di Paolo VI per cui l’ordine del diaconato “…non deve essere considerato come un puro e semplice grado di accesso a! sacerdozio; esso, insigne per l’indelebile carattere e la particolare sua grazia, di tanto si arricchisce che coloro i quali. vi sono chiamati possono in maniera stabile dedicarsi ai misteri di Cristo e della Chiesa” (EV, 2/1369). Il diaconato permanente era così tornato a costituire un importante arricchimento per la missione della Chiesa.
E’ da ritenere che questo ripristino non sia attribuibile alla carenza di vocazioni presbiterali ma più fortemente alla teologia stessa del Concilio Vaticano II che ha permesso il recupero di una dimensione teologica e pastorale della Chiesa, rendendo possibile la rinascita del diaconato anche se, per qualche interna divergenza di valutazione tra i Padri Conciliari, rimase e rimane ancora inspiegabilmente in sospeso l’importante questione del diaconato femminile, già presente ai tempi di S. Paolo (nella Lettera ai Romani, 16, 1-2, cita la diaconessa Febe “diacono della Chiesa di Cencre“) e reintrodotto nelle chiese riformate fin dal secolo scorso. I vescovi italiani nel 1970 avrebbero votato l’introduzione anche in Italia del diaconato come grado permanente del ministero ordinato e nel 1993 ne avrebbero specificato meglio le funzioni con il documento “Orientamenti e norme del diaconato permanente”. (Continua, Parte II, clicka su Leggi tutto…)
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Così sabato scorso 23 feb. 2013, nel corso di un’intensa cerimonia al S. Cuore di Latina, il Vescovo ordinario della Diocesi di Latina – Terracina – Sezze e Priverno mons. Giuseppe Petrocchi imponendo le sue mani sul capo dei cinque nuovi eletti pontini ha affidato loro, senza dir nulla, il servizio della carità. Daniele Efficace, Giovanni Maiorino, Graziano Rossetto, Michele Aprea e Renato Tosatti si aggiungono alla Comunità dei già ordinati. Quello del diaconato è un ministero (minus ter) di servizio, un ordine diverso e inferiore rispetto a quello dei presbiteri e dei vescovi ma questa non sovvertibile piramide gerarchica, come ricordato dal vescovo, non può non evocare alcuni passaggi del Vangelo in cui Gesù ammonendo i suoi dice che gli ultimi saranno i primi e, soprattutto, li innalza di dignità: “Beati pauperes…” (Luca 6, 20; Matteo 5,3), oppure, “… io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 23, 1-49, 27). Purtroppo il concetto di ministerium, leitourgìa ha subito nei secoli un’evoluzione semantica e di valore per cui non pochi ministri, persa la dimensione del sacro e sbiadita ogni originaria interconnessione col servizio agli ultimi e al popolo dei fedeli, hanno finito col percepirsi cavalieri sopra i fanti, funzionari di un potere senza limiti ma anche “magistri” preposti a “lectio divina” a società, ordini, chierici e studenti spesso svogliati. Si avverte la necessità di un aggiornamento di certa tradizione “liturgica” post-costantiniana sovraccarica di valori temporali. Di fronte agli scenari nuovi e impensati che si sono aperti la Chiesa, sia quella universale che quella locale, deve rimodularsi e passare dal Magisterium al Ministerium, dal magis ritornare al minus, dalla dottrina alla sapienza, dal potere alla cooperazione. Ha scritto recentemente un teologo (V. Mancuso) “O la Chiesa cattolica inizierà a rivedere seriamente la concezione del potere che la governa e che ancora rispecchia l’immagine tolemaica dell’universo, oppure dalla sua crisi non uscirà e l’estinzione che ha colpito il paganesimo sarà anche il suo destino”.
Per il mensile La Voce di S. Chiara ho condotto la seguente intervista ad uno di loro (Daniele Efficace) e raccolto la testimonianza di un altro (Giovanni Maiorino), perché entrambi espressione dalla nostra Parrocchia di S. Chiara. Eccole qui di seguito:
Diakonìa: Intervista e materiali
a cura di Sergio Andreatta
In questo numero diamo ampio spazio alla DIAKONIA di Gianni e Daniele, due nostri fratelli della Comunità parrocchiale di S. Chiara di Latina presieduta da don Daniele Della Penna. In occasione dell’ordinazione diaconale mi è sembrato giusto iniziare, col porgere intanto cinque domande a Daniele Efficace che tutti ben conoscono e apprezzano e raccogliere un contributo significativo di Giovanni Maiorino, detto “Gianni”, che si sta spendendo con grande impegno, coscienziosità e buon risultato nella gestione quotidiana della Mensa della Caritas diocesana. Proseguirò in seguito con una serie d’interviste d’interesse comune al parroco, alla madre superiora delle clarisse, all’eremita francescano di Nazareth Padre Luciano Proietti,
al vescovo, alla missionaria comboniana madre Camilla, ad un dirigente scolastico di quartiere, ad un medico, al sindaco, ad un disoccupato, ad un clochard, a un ateo e ad altri che mi saranno, anche da voi, segnalati. Per brevità mi contrassegnerò con “A” (Andreatta che ha la responsabilità esclusiva delle domande) ed Efficace con “E”.
A. (D1): Insieme con tua moglie e le tue figlie ci hai annunciato la tua ordinazione diaconale permanente del 23 febbraio al Sacro Cuore di Gesù. Qual è il tuo stato d’animo, Daniele, nel momento in cui, insieme ad altri quattro, entri a far parte di una gerarchia ecclesiastica, sia pure di servizio, della Chiesa Pontina?
E. (R1): C’è tranquillità e pace, e questo mi fa venire in mente quando mi parlavano della pedagogia di Dio, Lui non ci chiede mai cose superiori alle nostre forze. Sono sereno anche perchè la mia Famiglia mi è vicina (Carlotta, Veronica, Silvia, Mamma e papà dal cielo) e poi sento il sostegno della Chiesa e della Comunità. Il Servizio poi lo comprenderò meglio servendo!
A (D2): Diversamente diaconi. Che differenza possiamo cogliere tra un diacono “permanente” ed uno “transeunte” e quale è stato il tuo personale cammino/seminario di formazione spirituale e teologica?
E. (R2): Il “transeunte” è di preparazione al sacerdozio, il “permanente” è riservato ad uomini sposati ed è un grado del Sacramento dell’ordine. L’ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, un sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi: l’episcopato, il presbiterato e il diaconato (CCC 1536). Il mio cammino spirituale è iniziato con l’incontro con Cristo e si sintetizza nella frase: “Nel silenzio ascolto, nella carità servo”. La chiamata all’ascolto si è andata perfezionando attraverso il silenzio eucaristico in cui e con cui il Signore mi ha dato una bella sgrossata, similmente a quanto accaduto a Elia sul monte (cfr.1Re19,9-15). Mi ha aiutato molto impegnarmi nel “fermento spEs” di cui abbiamo festeggiato in questi giorni il decennale. Quella che poteva sembrarmi all’inizio una “passività”, lo stare fermo in adorazione davanti all’Eucarestia, è diventata per me una silente attività in Cristo. Silenziosamente (Lui) creava relazioni, operava guarigioni e poi, senza che me ne accorgessi, mi spingeva verso l’altro. Infatti una volta che hai incontrato Cristo, non Lo puoi tenere per te e sei spinto a servirLo nell’altro con gioia, senza un’obiettivo pratico ma lasciandoti andare, fidandoti. In questi passi sono stato guidato dalla Chiesa, come avessi incontrato degli angeli che mi hanno accompagnato. Dal 2006 sono entrato nella comunità di formazione al diaconato permanente per una formazione spirituale più “mirata”, con incontri sistematici della durata di 1h e30’ in diocesi (il lunedì), con un ritiro di 1 giorno al mese e di una settimana l’anno. A questi incontri partecipava tutta la famiglia. Per migliorare la formazione teologica frequento attualmente il Corso di Scienze Religiose all’Università Regina Apostolorum di Roma.
A (D3): C’è stato un primo momento in cui hai sentito questa vocazione al servizio ministeriale. Quando è stato e quale subito la tua prima risposta? Moglie e figlie hanno condiviso senza problemi la tua scelta? La domanda è anche per loro.
E (R3): Dopo tanto silenzio ho sentito la vocazione a servirLo ad andare verso l’altro, ma non avevo idea che questo potesse definirsi nella vocazione ministeriale del diacono.La Chiesa, in questo caso don Daniele, ci ha fatto la proposta (a me e Carlotta) e per due volte, in due anni diversi, la risposta è stata un secco e chiaro: “No!”
Ma non puoi sfuggire alla volontà di Dio, se ti cerca prima o poi ti trova e poi Lui è molto bravo a trovare anche strade alternative e così ha fatto con me. Un insegnante collega di Carlotta a quel tempo (nel 2006) era un diacono e fu lui a riproporci di iniziare un percorso di discernimento nella “comunità di formazione degli aspiranti e candidati al diaconato permanente della Diocesi”. La famiglia ora era d’accordo ma poi alla fine l’ultima parola sarebbe spettata a Padre Luciano che ci stava accompagnando come padre spirituale. Così abbiamo cominciato il percorso.
Carlotta: All’inizio la proposta mi ha stupito, non era un cammino per noi, poi mi ha spaventato, non eravamo preparati , alla fine mi sono lasciata accompagnare in un cammino di discernimento. Questo è il percorso che ci ha aiutati a capire che era una chiamata di Dio.
A (D4): D’ora in poi potrai disporre di minor tempo per la famiglia perché sarai in comunione stretta e cordiale con il vescovo: E’ scritto che sarai:”… l’orecchio, la sua bocca, il suo cuore, la sua anima: due in una sola volontà”. Questo, e in che termini, ti rende felice?
E (R4): Forse avrò meno tempo per i miei ma credo che sarà più qualitativo. Se poi la felicità è seguire la propria vocazione, non ci potrà che essere gioia!
Carlotta: E’ un percorso che compiremo insieme, a volte separati fisicamente ma sempre in unità spirituale, sicuri che la grazia del Sacramento dell’Ordine unito al Sacramento del Matrimonio ci accompagnerà sempre .
A (D5): Solo cinquant’anni fa il Concilio Vaticano II ha rivalutato la funzione del diaconato “laico” riportandola alla pienezza della tradizione cristiana delle origini dopo che per molti secoli questa figura era andata in declino (seppure continuasse a persistere nel Martirologio romano lo smalto per i fulgidi esempi di S.Stefano e S.Lorenzo). La nostra Comunità di S. Chiara, col sostegno della sua preghiera e della sua collaborazione, augura a Gianni e a Te di poter operare ancor più secondo il monito di S.Policarpo per: “Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti”. A Te, Daniele, vorrei fare, non senza provocazione, un’ultima domanda tra le tante ancora possibili: “Non pensi che oggi, in una Chiesa più aperta e pure in sofferenza di vocazioni religiose, potrebbe trovar posto e dignità anche un diaconato femminile come già nella prima Chiesa cristiana dove pure la diaconessa Febe è ricordata dall’apostolo Paolo nella sua Lettera ai Romani (Rm 16,1-2)?
E (R5): Ringrazio la Comunità di S. Chiara per il sostegno nella preghiera, che d’altronde in questi anni non è mai mancato, e per il bellissimo augurio che prendo come un’indicazione di vita: “Essere misericordioso, attivo e camminare secondo la verità di Cristo Servo Signore”. Ma ora veniamo alla risposta sulla possibilità di un diaconato femminile per la quale mi appoggio al Magistero. La parola “diaconessa” viene dal greco diacònissa “servitrice” e nelle prime comunità cristiane effettivamente c’erano donne anziane, per lo più vedove, che svolgevano compiti caritativi e liturgici particolarmente nel battesimo e nell’unzione delle donne, tali funzioni scomparvero col decadere del battesimo degli adulti. Mentre il Diaconato, che è un grado del Sacramento dell’ordine, è riservato agli uomini. Il beato Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis del 22 maggio 1994, precisava che: ”L’ordinazione sacerdotale, mediante la quale si trasmette l’ufficio che Cristo ha affidato ai suoi Apostoli di insegnare, santificare e governare i fedeli, è stata nella Chiesa cattolica sin dall’inizio sempre esclusivamente riservata agli uomini”, “la Chiesa non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale”. Precisava inoltre che Cristo «Chiamando solo uomini come suoi apostoli ha agito in un modo del tutto libero e sovrano, e ciò ha fatto con la stessa libertà con cui, in tutto il suo comportamento, ha messo in rilievo la dignità e la vocazione della donna, senza conformarsi al costume prevalente e alla tradizione sancita anche dalla legislazione del tempo” infatti: “Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa”, che non ha “ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale, mostra chiaramente che la non-ammissione delle donne all’ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti, ma l’osservanza fedele di un disegno da attribuire alla sapienza del Signore dell’universo. La presenza e il ruolo della donna nella vita e nella missione della Chiesa, pur non essendo legati al sacerdozio ministeriale, restano comunque assolutamente necessari e insostituibili”. “Il Nuovo Testamento e tutta la storia della Chiesa mostrano ampiamente la presenza nella Chiesa di donne, vere discepole e testimoni di Cristo nella famiglia e nella professione civile, oltre che nella consacrazione totale al servizio di Dio e del Vangelo”, e per concludere: “la Santa Madre Chiesa auspica che le donne cristiane prendano pienamente coscienza della grandezza della loro missione. Il loro ruolo sarà oggigiorno determinante sia per il rinnovamento e l’umanizzazione della società, sia per la riscoperta, tra i credenti, del vero volto della Chiesa” (cfr. Dichiarazione “Inter Insigniores”). Trovo che questo motto indichi bene la mia strada: “Per silentium audio, per caritatem servio“.
In conclusione d’intervista non posso non pensare che questo è “L’Anno della fede”, indetto dal dimissionario, umile papa Benedetto XVI, un’opportunità in più per alimentare la nostra preghiera che è dialogo con Dio e luogo nel quale Egli ci parla. In questo senso si comprendono, forse, meglio alcuni passaggi dell’intervista al diacono Daniele e la missione che si è dato il Gruppo di cammino SpEs di S. Chiara ormai diffuso anche in altre parrocchie del territorio. Ma la Comunità ecclesiale pontina partecipa l’ordinazione diaconale, oltre che di Daniele Efficace che, uno per tutti, abbiamo intervistato, anche di Graziano Rossetto, Michele Aprea, Renato Tosatti e Giovanni Maiorino. Questi, parco di parole e particolarmente concreto, è stato incaricato dal vescovo mons. Giuseppe Petrocchi della cogestione della mensa della Caritas di Via Cicerone. Ognuno, quindi, secondo la propria parte, membra del corpo di Cristo. Infatti il corpo, scrive San Paolo ai Corinzi (12, 12-30) mutuando la metafora organicistica dal famoso apologo di Menenio Agrippa (in Tito Livio, Ab Urbe condita, II, 32), non è formato da un membro solo, ma di molte membra con diversa funzione. Gianni Maiorino, proprio sul filo di lana cedendo alle mie inopponibili pressioni, ha inviato il seguente contributo che siamo ben felici di pubblicare:
Dopo aver prestato servizio un anno e mezzo nella Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, il Vescovo mi ha mandato alla Caritas Diocesana, dove attualmente mi occupo, in particolare, della mensa cittadina. Collaboro con Antonio Caprioli, un uomo “speciale” che ha dedicato la sua vita al servizio dei bisognosi e che tanto mi sta insegnando. La mensa cittadina, “opera-segno” fortemente voluta dal nostro Vescovo Giuseppe Petrocchi, è ubicata in via Cicerone 114 ed è in funzione da dieci anni. Il servizio è garantito da operatori pastorali appartenenti ad alcune parrocchie della nostra Diocesi che preparano e servono pasti caldi – tutti i giorni della settimana – per oltre 200 persone al giorno. Gli indigenti accolti sono provenienti, in genere, da situazioni di forte disagio economico e sociale (in maggioranza stranieri dei paesi del Nord Africa, Est europeo e Asia meridionale, oltre che italiani).
La mensa della Caritas è un luogo di condivisione, dove la comunità cristiana incontra e si fa carico del prossimo più povero: lo accoglie e lo ascolta, conosce dalle sue parole l’abbandono, il freddo, la fame, la droga, il carcere, le migrazioni, la perdita degli affetti. Chi viene a mangiare non ha solo la necessità di soddisfare il bisogno materiale di cibo, ma anche di ritrovare simpatia, rispetto e calore umano, che spesso gli sono negati.
E’ importante, allora, che: “Quanti operano nelle istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2005, n. 31). Preghiamo pertanto affinché le nostre comunità diventino luoghi di comunione resi dallo Spirito Santo luoghi di autentica “formazione del cuore”.
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© – Sergio Andreatta
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LA VOCE, A. I, n. 3, feb. 2013