Spettacolo Melfa
Tra balzi e cascatelle spettacolari i giochi d’acqua del fiume Melfa nel territorio di Picinisco.
Testo e foto di Sergio Andreatta, www.andreatta.it
Un paesaggio con fitte selve, fiume, cascate, laghetti, speroni rocciosi, morge, ma anche con santuari, borghi e castelli che custodiscono gelosamente le orme del passato, memorie di soldati e di monaci benedettini, di mercanti e briganti tagliagole, di pastori e boscaioli. Non serve andare dall’altra parte del mondo per scoprire un angolo capace di sorprendere, una valle fiorita e profumata come il paradiso dove si muove intensa la vita diurna e notturna di molti animali. E sopra la silente e rara bellezza, esattamente sopra la mia testa volano molti uccelli cantanti e il falco pellegrino e l’aquila reale.
A Picinisco (FR), 725 mt. s.l.m., è forte il richiamo del fiume Melfa dal percorso molto interessante e suggestivo fin dalla sua origine ai piedi di una roccia calcarea, a 1020 m. sul livello del mare, nell’alta Valle di Canneto. Ci troviamo nel cuore più verde del versante laziale del P.N.A.L.M., in uno dei luoghi più belli del Centro Italia sotto i Monti del Meta, in territorio al confine tra i comuni di Picinisco e Settefrati che da sempre bonariamente se lo contendono, avanzando ipotesi (a Picinisco) di irrealistiche deviazioni dell’alveo del fiume a proprio danno. Alla sorgente, da sempre identificata con quella di Capo d’Acqua, (foto 1),
contribuiscono sicuramente anche altre acque confluenti dai ruscelli provenienti dall’Acquanera, dal Petroso e dalla Valle del Meta. In passato la parte più bassa dell’altipiano era inondata di acque, tanto da formare uno stagno che s’ingrandiva al dimoiar delle nevi, ove putrefacevano le erbe prative e si abbeveravano le bestie all’alpeggio. Lo svuotamento completo ne era, infatti, impedito dai mutevoli dislivelli, da due grossi macigni rocciosi e dal deposito ostruente dei detriti lignei. Oggi lo stagno (foto 2)
già bonificato una cinquantina d’anni fa con un regolato deflusso, grazie ad un significativo intervento di ripristino culturale e paesaggistico, è stato meritoriamente riformato (un piccolo laghetto circolare) ad opera della direzione del Parco. La sorgente del fiume, come successo già ad altre, fin dall’antichità è legata ad un incontrollabile miscuglio di leggende, miti, riti intensi e devozioni popolari condivise. Quasi che a presiedere a tutto ci sia un indicativo Genius loci. Un modo più di altri per dare importanza, anche economica, all’acqua, in questo senso davvero bene comune. Le varie tradizioni religiose, sulla sensibilità senso-percettiva per la quinta naturalistica, si sono sedimentate un po’ alla volta attraverso i secoli. Al tempo del Volsci e dei Sanniti sorgeva qui un tempio dedicato ad una Mater Matuta, dea del parto e della vita, anche tramandata dal volgo come dea Mefiti (tanto da far pensare che l’aggettivo mefitico, puzzolente per il macerare delle erbe, possa esser nato proprio da queste parti). E Mefite era una divinità italica il cui culto era associato frequentemente a luoghi con acque fluviali o lacustri. Poi con il propagarsi del cristianesimo e la cristianizzazione indotta nella valle dall’opera missionaria benedettina ed anche dalla convenienza personale dello stare in una comunità autoproteggente, sul luogo e in sostituzione delle antiche divinità pagane, oltre 800 anni fa, si concentrò una viva e genuina devozione popolare ad una madonna nera (come altre contemporanee d’influenza bizantina che si riteneva dovessero proteggere meglio dalle incursioni dei saraceni), la Madonna di Canneto di cui si celebrano le feste tra il 18 e il 21 agosto. Quando mi vesto da pellegrino o da ambientalista e mi inoltro per i sentieri della selva oscura mi sento più sicuro se posso udire sempre la voce-guida del fiume. Così i miei passi non hanno finora mai smarrito la via… Dopo una serie di titubanze per i balzi e le varie cascatelle il fiume si dirige a Picinisco per arrivare poi ad Atina ma non prima di aver ricevuto da sinistra le acque del consistente rio Mollarino (foto 3) .
Quindi il fiume prosegue il suo corso verso Casalattico e Casalvieri scorrendo per 15 km in una profonda gola (Gole del Melfa) scavata nelle propaggini del M.Cairo per raggiungere, infine, dopo un percorso totale di circa 40 km., il fiume Liri in cui affluisce da sinistra dopo Roccasecca. Piccolo fiume, certo, ma molto interessante per la densità della sua storia, con il tratto piciniscano da considerarsi in assoluto il più suggestivo, se non altro per la varietà dei panorami e degli ambienti. In principio era l’acqua… l’afflusso delle nevi sciolte del Petroso e del Meta che continuano a raccogliersi nel sottosuolo di Capo d’Acqua. Un’immensa piscina sotterranea il cui livello, in periodi di esuberanza, sfiora dalla condotta forzata costruita dal Consorzio degli Aurunci alla fine degli anni ’50. E’ questo sfioro in superficie a sembrare ora la sorgente stessa del fiume. Le immaginifiche “stelline” (foto 1) fanno gridare a un miracolo della madonna che si ripeterebbe qui secondo la leggenda, in realtà queste non sono che il bellissimo effetto microfloreale tipico dei movimenti d’acqua e del particolare microclima. Le acque, dopo aver dato vita al laghetto ove con narcisismo si specchiano le alte cime rocciose spesso innevate, ora iniziano ad inoltrarsi tra salti e capriole, balzi e cascatelle nella verde e ripida Valle di Canneto tra i monti che precedono il millenario “castrum” di Picinisco, paese fortificato a guardia degli interessi signorili sulla Valle Romana (Var Romana). Allo Stramazzo (foto 4)
rimango sempre ad occhi aperti come un bambino stupito dai murmuri, i colori e le sensazioni prodotte dalle acque limpidissime. Ecco poi il Lago di Grottacampanaro (foto 5 e 6),
artificiale, costruito come serbatoio di riserva dell’Enel nel 1953, data di ultimazione dei lavori della diga. Qui funzionano ancora due centrali idroelettriche.
Purtroppo la maggior parte delle acque captate viene forzata, per circa 25 km in una tubatura che perfora i monti, da Picinisco fino al Monte Cifalco, a Sant’Elia Fiume Rapido e alla centrale dell’Olivella sopra Cassino. L’acqua residua, che riceve il tributo di nuove piccole sorgenti, prosegue il suo corso nell’alveo naturale, tra spettacolari giochi come a Ponte Le Branche (foto 7), verso il paese e la Valle di Comino.
Sono magre e defedate ora le acque del Melfa, impoverito dalle programmate ed economicistiche sottrazioni, ma vengono in parte compensate dagli apporti di altre fonti minori tra cui le storiche Scopella e Bolletta, che per almeno tre secoli hanno servito e ristorato i piciniscani, e della sorgente de “Lo Schioppaturo”, in località La Ratisca, proprio ai piedi del Parco Montano di Picinisco. Dal belvedere dello stesso Parco si vede l’antica Centrale idroelettrica Visocchi, la prima d’Italia, la seconda d’Europa. Nei pressi, leggermente a monte verso est, l’acqua destinata a quelle condutture fuoriesce formando nel periodo estivo una scrosciante e spettacolare cascata (foto 8) ben osservabile dalla gente del soprastante paese con cui dialoga.
Le acque si liberano in un salto di circa 100 m., un tempo con intenti irrigui per soddisfare la richiesta idrica degli agricoltori della piana di Atina, oggi nel cambio culturale rilasciate per un preminente interesse turistico. E siamo a Borgo Castellone, uno dei borghi antichi e più affascinanti della zona ma ormai solo villaggio turistico, ove domina promettente e dinamico il motto “nulla dies sine linea“, già proprietà dei Bartolomucci, signori anche del castello medievale. Qui funzionavano importanti in passato un mulino e una cartiera. Neanche 300 m. prima, intercettando la ricostituita portata del fiume, è stata appena costruita dal Consorzio del Liri La Presa (foto 9),
un ulteriore bacino d’acque che si è programmato, attraverso condotte, di spingere più in basso in uno spettacolare laghetto artificiale a forma di ferro di cavallo (La Bagnarola) ancora in via di ultimazione (cantiere aperto) in località Zarrelli. Un “panta rei”, un film limpidissimo che scorre evocando il Cantico delle creature, laddove San Francesco prega “Laudato s’, mì’ Signore, per sor’ aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”.
Siamo ormai al termine del breve percorso piciniscano del fiume e la bottiglia di plastica da mezzolitro contenente un importante, quanto singolare, mio messaggio a tutela dell’ambiente che avevo lanciato su a Capo d’Acqua, dopo tanti tormenti e sussulti, chissà se avrà raggiunto o raggiungerà mai il ponte sulla strada provinciale 112 o se, invece, non è rimasta impigliata in qualche anfratto. Oltre il cartiglio la bottiglietta porta dentro un piccolo stecco di pietra per stabilizzarla meglio e qualche luccicante e tintinnante moneta. Se tutto defluisce verso il mare chissà dove quel messaggio potrà arrivare. Ora il Melfa, a 15 Km. di distanza e 600 m. di dislivello dalle sue origini sull’altipiano di Canneto, mi saluta amichevolmente per addentrarsi in acque più quiete, in territorio di Atina, alla volta di Ponte Melfa. Da più lontano lo invocano il Liri, il Garigliano e, da ultimo, le sirene del mar Tirreno di Minturno. © – Sergio Andreatta, RIPRODUZIONE RISERVATA