A Rita Calicchia
(poesia non so, di Sergio Andreatta)
“Ciao, Rita.
La vita
com’è stata?”
“Molto ingrata”,
diresti.
Donna più libera
di quello che immagineresti
ma nulla in questo caso ha potuto.
Ci sono prigioni
che non si aprono mai…
Il dolore t’ha amato,
purificato,
le tue labbra laiche
a invocare il cielo,
la mente a lavorare duramente,
ogni giorno a scrivere
per distogliere il brutto pensiero.
Ma alla fine
ciò che ardeva nel petto
a una ventata si è spento.
E “Si può accogliere la morte
con un applauso?”
molti si son chiesti.
Non la morte
ma a S. Maria Goretti
qualcuno dalla tua ha tratto
coraggio per la sua esistenza.
Sarebbe bello credere
nella resurrezione,
nel definitivo superamento
della nostra finitudine,
al contrario, già prima della notte
chiudono
le più belle corolle del giardino.
“Con Rita
la vita
com’è stata?”
“Molto ingrata”,
diresti.
Le belle parole dei preti
rimangono belle parole
che vorrebbero farti includere
il significato della vita
ma in questa giornata di pioggia
non riescono a farci vedere
neanche i raggi del sole.
Eppure, eppure è estate!
Come è difficile interpretare la malattia
come un dono naturale
elargito da Dio!
Donna più libera
di quello che immagineresti,
Rita
non ha potuto liberarsi
della sua prigione,
dell’incombenza di una morte
anticipata.
La sofferenza l’ha amata,
purificata.
Le sue labbra laiche
si sono mosse in un sussurro,
preghiere
prima dell’inaridir di parole
di cui, come giornalista, era maestra.
Ormai solo il cuore suo sa.
Non si manifestano più lontananze
impenetrate nei suoi occhi
spenti ai dolori
ma qualcosa che sembra sorridere ancora
nel suo sonno, qualcosa
non saprei,
forse i semi sparsi
intorno a noi nel suo insistere
a ricercare la speranza…
Sergio Andreatta, A Rita Calicchia, tornando in bicicletta sotto la pioggia dal suo funerale. Latina, 21.07.2013, 16,15.